Se la strada potesse parlare: il regista di Moonlight divide la critica
Se la strada potesse parlare: dal regista premio Oscar Barry Jenkins la storia d'amore tratta dal romanzo di James Baldwin.

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Dopo il trionfo di Moonlight nella notte degli Oscar 2017 – Miglior film, Miglior attore non protagonista, Miglior sceneggiatura non originale – per il suo terzo lungometraggio Barry Jenkins sceglie di intraprendere un temerario viaggio tra le pagine di Se la strada potesse parlare, una delle opere più apprezzate di James Baldwin (1924-1987), personalità di spicco della black culture dell’età contemporanea, perfettamente ritratto nel documentario I'm not Your Negro (Raoul Peck, 2017).
Lo scrittore e poeta, intellettuale attivo e dissidente che, con il suo sguardo spietatamente lucido ha dato un fondamentale e battagliero contribuito, al pari di Martin Luther King e Malcom X, al movimento dei diritti civili ha speso tutta la sua vita a combattere, da afroamericano e omosessuale, i pregiudizi di una società arcaica, chiusa e ostile.
In Se la strada potesse parlare (If Beale Street Could Talk, 1974) la storia d’amore di Tish e Fonny che, tra errori e tenerezza, cercano di costruire il loro giovane quanto incerto futuro nella New York degli anni ’70, fa da intenso e malinconico sfondo a una realtà che relega il colore della pelle a una vita a senso unico, costretti in una prigione fisica e mentale.
Ogni ostacolo apparentemente superato, come l’inaspettata attesa di un figlio che mette in campo le diverse mentalità di due famiglie povere, dignitose e assai pragmatiche, viene vanificato da eventi più grandi che li pongono a ruolo di mere pedine.
Vittima è Fonny, accusato ingiustamente di stupro, vittima è il bambino che nascerà già stritolato dal sistema, vittima è la fragile accusatrice del giovane, costretta a mentire dalla deriva razziale che obbliga i deboli a scelte ignobili, senza ritorno alcuno. Accolto all’unanimità dalla critica americana come un nuovo capolavoro, il film a uno sguardo europeo e meno coinvolto non riesce a trasporre cinematograficamente il magma che ribolle nel romanzo, tra senso di speranza e accettazione di regole che appaiono scolpite nella pietra.
La regia e la sceneggiatura dello stesso Jenkins, pur mantenendo religiosamente la narrazione e il ritmo sapiente delle parole, sul grande schermo perde poco per volta forza e vitalità per la discutibile scansione didascalica degli eventi e un montaggio che, scegliendo farraginosi flashback ed ellissi, spezza il fiato dello sguardo.
Nonostante la magnifica prova attoriale dei due giovani interpreti, la debuttante Kiky Layne e Stephan James (Selma, 2014) sapientemente valorizzati dalla splendida fotografia di James Laxton, dai colori intensi e brillanti, la passione eterna di Tish e Fonny scivola dalla romantica eternità all’inesorabile cedere al tedio e alla noia.
Solo le vivaci performance di Regina King, fresca vincitrice di un Golden Globe 2019 e quella di Colman Domingo (The Butler, 2013) nel ruolo di genitori amorevoli, ironici e forti come rocce testimoniano il talento e capacità di Jenkins di costruire perfetti ritratti famigliari. Se la strada potesse parlare è una dolorosa occasione mancata, in perfetta buona fede, che non rende giustizia al romanzo e allo stesso regista.
Al cinema dal 24 gennaio 2019.
Nonostante l'ottimo cast e una intensa storia d'amore, il racconto cinematografico non convince.

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